ILLUMINIAMO LA SALUTE

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Seminario - Il conflitto di interessi Bologna 26 giugno 2014

Il conflitto di interesse dal punto di vista della comunicazione scientifica

Luca De Fiore

Presidente Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
Direttore Il Pensiero Scientifico Editore

 

La domanda di legalità alla quale vuole rispondere il progetto Illuminiamo la salute chiede di tradurre i principi in azioni concrete. Nell’ottica del trasferimento nella pratica quotidiana di alcuni dei contenuti emersi nei mesi scorsi di confronto e discussione, è importante immaginare il ruolo di chi andrà a occuparsi di prevenzione della corruzione nel sistema sanitario pubblico. La figura andrebbe vista come quella di un tutor, che non si presenti dunque ai colleghi come chi pretenda insegnare loro “a fare le cose”, ma offra piuttosto un aiuto per evitare quelle “brutte figure” a cui la crescente trasparenza dei vissuti professionali e personali inevitabilmente finisce con l’esporre.

La comunicazione scientifica ha un peso notevole nelle dinamiche accademiche e industriali in ambito sanitario: alterarla può tradursi nella compromissione della correttezza dell’esito di concorsi pubblici, nella manipolazione delle carriere professionali, nella maggiore vendita di prodotti farmaceutici o di dispositivi medici, così come nel più elevato consumo di prestazioni diagnostiche o chirurgiche: anche per questo, comunicazione e informazione sono teatro di commedie e tragedie che in pochi conoscono ma che danneggiano tutti. Gran parte dei problemi ha origine nella corruzione della ricerca: il danno alla salute delle persone è provocato forse più ancora dalla corruzione dei dati che dalla corruzione delle persone in senso stretto.

Una delle principali cause delle perverse (e illegali) dinamiche della comunicazione scientifica è dunque la produzione distorta dei dati, derivante da una ricerca condizionata all’origine. In troppi casi, la definizione delle priorità (il decidere cosa studiare) e dei metodi di analisi (la scelta di come studiare) è guidata da interessi diversi dal bene dei cittadini. Interessi non solo di tipo commerciale, ma anche accademico, politico o religioso. Il normale percorso di produzione di dati viene alterato in diversi modi. Sono questioni di cui a livello internazionale si parla da molto tempo, a differenza purtroppo che in Italia. Se dovessimo pensare ad una lettura propedeutica a chi si avvicina al tema della corruzione della comunicazione scientifica, non ci sarebbe fonte migliore del dossier pubblicato dal Lancet nel gennaio 2014 dedicato allo spreco della ricerca. L’articolo di Malcolm R. Macleod e degli altri curatori del fascicolo della rivista sintetizza lo stato dell’arte dei problemi della ricerca : in una percentuale che alcuni ritengono prossima ai due terzi, è inutile, disegnata e condotta in modo metodologicamente discutibile o non rigoroso, inefficiente e eccessivamente rischiosa per la necessità di assecondare meccanismi regolatori e autorizzativi ridondanti, solo parzialmente accessibile nella descrizione dei metodi e soprattutto dei risultati reali e, infine, rendicontata in maniera errata, incompleta, selettiva sulla base di interessi che non hanno a che fare con il benessere dei cittadini.

Le tragedie e le commedie prima citate sono sotto gli occhi di tutti ma molto spesso non vengono percepite nella loro gravità. Come si fa in tutti gli sport prima di iniziare a giocare, bisognerebbe per prima cosa intendersi sulle regole. Per questa ragione, è opportuno conoscere attraverso quali meccanismi o stratagemmi si può alterare o corrompere il dato scientifico per trarre vantaggio personale: solo conoscendo meglio queste dinamiche, si potrà guidare il lavoro dei ricercatori e dei clinici nelle strutture sanitarie, così come effettuare un’attività di sorveglianza nei riguardi di possibili illegalità.

Per approfondire

– Nella comunicazione scientifica, le regole esistono: esplora il sito dell’International Committee of Medical Journal Editors

– Hai il sospetto che un articolo possa essere basato su dati inventati o possa aver plagiato contributi già pubblicati? Segui le indicazioni (flowcharts in italiano) del Committee on Publication Ethics


In occasione dell’edizione 2014 del congresso Evidence, annualmente organizzato a Oxford dal BMJ, Howard Bauchner, direttore della rivista JAMA, ha proposto una gerarchia dei “peccati” della comunicazione scientifica: nella sua personale classifica veniva al primo posto la ricerca non etica, seguita dalla falsificazione dei dati della ricerca, dal conflitto di interesse, dal reporting incompleto, dal condizionamento dei contenuti volto a enfatizzare alcuni aspetti di un argomento e a metterne in ombra degli altri e, infine, dal plagio.

1. Non rispettare solidi principi etici nel disegnare, condurre e rendicontare la ricerca clinica.
2. Falsificare i dati della ricerca clinica.
3. Anteporre interessi privati o personali a quelli generali nello svolgere attività di ricerca.
4. Riportare i dati della ricerca in modo incompleto o selettivo.
5. Distorcere il disegno o i risultati della ricerca al fine di perseguire uno scopo diverso da quello enunciato come “Obiettivo” dello studio
6. Plagiare studi condotti da altri ricercatori o copiarne aspetti qualificanti senza riconoscerne la paternità


1. La ricerca non etica

Il primo problema nasce dalla alterazione delle priorità secondo cui è redatta la cosiddetta “agenda della ricerca”. In altre parole, sono falsificati i bisogni informativi che determinano la programmazione di attività di ricerca: per esempio, viene amplificata la portata di problematiche sanitarie, di rischi epidemiologici, di pericoli “pandemici”, e così via. Pensiamo a quella evidenza che non soltanto qualsiasi clinico ma anche ogni lettore dei supplementi dei quotidiani dedicati alla salute ha costantemente sotto gli occhi: la premessa di gran parte dei contributi che riguardano la medicina prevede la descrizione di iceberg fatti da patologie la cui portata sarebbe molto maggiore di quanto percepito e che però sfuggirebbero alla normale osservazione della gente. Patologie invisibili: ce ne sono così tante, di queste montagne di ghiaccio sommerse, che sembra che i cambiamenti climatici proprio non abbiano toccato la sanità.

1. La ricerca inutile rappresenta una perdita di tempo, di energie, di soldi e di altre risorse; inoltre non è etica ed è potenzialmente dannosa per i pazienti.
2. Bisognerebbe realizzare nuova ricerca solo se una revisione aggiornata di precedenti studi mostrasse che tale ricerca è necessaria, e solo dopo averla registrata.
3. Le prove derivanti dalla nuova ricerca dovrebbero essere usate per aggiornare le precedenti revisioni di tutte le prove rilevanti.
4. Molta ricerca è di qualità scadente e viene condotta per motivi contestabili.
5. L’industria e i centri accademici hanno importanti responsabilità nella distorsione dell’agenda della ricerca.
6. Spesso non vengono affrontate domande che interessano i pazienti.

Ricerca: la buona, la cattiva, l’inutile. Da: Dove sono le prove?

Per approfondire

– Esplora il sito Testing Treatments Interactive nella sua versione italiana


La falsificazione dei dati

E’ un fenomeno probabilmente in aumento (Steen 2010); circa il 14 per cento dei medici dice di esserne stato testimone diretto (Fanelli 2009). Anche in questo ambito vige però la cosiddetta “sindrome di Muhamed Ali”: noi siamo sempre i migliori perché sono sempre gli altri a trasgredire [vedi Figura]. Il 53 per cento degli autori coinvolti è un “repeat offender”. Le riviste scientifiche internazionali devono confrontarsi con qualcosa che un tempo era sconosciuto: la necessità di ritirare un articolo pubblicato successivamente alla rivelazione di una frode: correzioni e “annullamento” di articoli sono sempre più numerose [vedi Figura] al punto che il 2011 è stato dichiarato “the year of retraction”. E’ possibile, però, che queste non siano soltanto cattive notizie, dal momento che i comportamenti scorretti sono sempre esistiti e potrebbe esserci oggi solo maggiore attenzione da parte dei direttori e degli editori nel tutelare l’onore dei propri periodici (Fanelli 2013). Ritirare un articolo non risolve il problema, perché gran parte dei lavori condotti in maniera fraudolenta resta in circolazione e il 31 per cento degli articoli ritirati non viene indicato come tale nei database bibliografici.


Una storia. Andrew Wakefield è medico e nel 1998 pubblicò sul Lancet uno studio che sembrava dimostrare l’associazione fra autismo e alcune malattie infiammatorie intestinali (vedi). Condusse decine di sperimentazioni su bambini e ragazzi che soffrivano di autismo, volte a scoprire attraverso biopsie digestive la presenza di malattie infiammatorie intestinali. In seguito, non essendo stato possibile da parte di altre équipe riprodurre gli stessi risultati, il suo lavoro è stato messo in discussione mettendo infine in luce la frode scientifica (l’analisi indipendente dei cosiddetti raw data – dati grezzi – raccolti nelle ricerche di Wakefield non confermò le conclusioni a cui era giunto l’autore). Alla scoperta del caso ha contribuito l’attività di giornalismo investigativo del Sunday Times che già nel 2004 segnalò gli interessi economici di Wakefield (destinatario di circa 400 mila sterline da parte dello studio legale che intentò le cause di risarcimento per conto dei genitori dei bambini nei confronti del servizio sanitario britannico), le cui ricerche non passarono mai al vaglio di un Comitato etico. Solo nel 2010 il Lancet ha ritirato l’articolo. Wakefield è stato sottoposto a giudizio da parte del Royal College del Regno Unito è gli stato vietato di esercitare la professione medica in Inghilterra. Trasferitosi negli Stati Uniti, sta continuando a svolgere le proprie ricerche. Il caso Wakefield è stato giudicato come uno dei più gravi scandali della sanità pubblica del secolo scorso, anche per l’impatto negativo sulle percentuali di copertura vaccinale nei bambini, calate in alcuni casi di circa 20 punti (dal 92 al 73%) per effetto della preoccupazione avvertita dai genitori sui possibili collegamenti tra vaccinazione e insorgenza di autismo.

Per approfondire

 – MMR e autismo: la truffa svelata, di Guendalina Allodi [Salute Internazionale]
 – MMR e autismo: la frode. Atto secondo, di Guendalina Allodi [Salute Internazionale]
 – Andrew Wakefield and the MMR-vaccine fraud [blog di Brian Deer, il giornalista che ha scoperto la frode]
 – Figura: l’impatto dell’articolo di Wakefield sulla fiducia nelle vaccinazioni.


Un’altra storia. Jon Sudbø è un medico dentista norvegese, primo autore di un articolo pubblicato nel 2005 su The Lancet, che presentava i risultati di uno studio su circa 900 pazienti, che sembrava dimostrare una associazione tra assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei e riduzione del rischio di cancro del cavo orale. Dopo la pubblicazione, una ricercatrice dell’unità di epidemiologia dell’istituto norvegese dove Jon lavorava si insospettì, poiché i dati sui pazienti avrebbero dovuti essere estrapolati da un database ancora non inaugurato al momento dell’uscita del lavoro. Inoltre, il lavoro investigativo di un quotidiano norvegese scoprì una strana coincidenza nel database in appendice all’articolo: dei 908 pazienti arruolati, 250 erano nati nello stesso giorno. Sudbø, sua moglie e il fratello confessarono successivamente di essere autori di diversi altri articoli basati su dati fabbricati e usciti su riviste molto note e autorevoli, dal New England Journal of Medicine al Journal of Clinical Oncology. Dopo una sospensione, l’autore ha ripreso l’attività di medico dentista e numerosi suoi articoli non “retracted” sono ancora inclusi nei database bibliografici. La vicenda di Sudbø contribuisce ad alimentare le perplessità di chi ritiene la peer review editoriale poco efficace per scoprire la malpractice dei ricercatori. Soprattutto, però, punta l’indice contro la mancanza di controlli interni alle istituzioni, che sottovalutano l’importanza di vigilare sulla correttezza del proprio staff.

Per approfondire

 – La revoca dell’autorizzazione all’esercizio della medicina a Jon Sudbø da parte del Norwegian Board of Health

If someone has a good reputation, has 10 years of papers and has a very high position within their medical school, generally you assume they have a lot of integrity.
Jeffrey Kroin, Rush University, Chicago


Una terza storia. Anil Potti è un medico indiano specializzato in oncoematologia alla Duke University nel 2006. E’ stato al centro di una serie di scandali conseguenti prima alla scoperta della enfatizzazione dei propri titoli accademici e poi alla falsificazione di una serie di ricerche finalizzate a studiare strategie basate sulla genomica per prevedere la prognosi di diversi tipi di cancro. Ha dovuto ritirare gran parte delle proprie pubblicazioni perché basate su dati in parte o del tutto inventati. Essendo stata ritirata la sua licenza dal board della North Carolina, si è trasferito presso un altro centro medico della South Carolina dove ha proseguito l’attività di ricerca. Per migliorare la propria immagine di studioso, ha affidato all’agenzia specializzata Online Reputation Manager la produzione di siti e di blog in rete alimentati da resoconti positivi della sua attività [vedi].

Per approfondire

– Falsificando la scienza si finisce sui giornali: Anil Potti sul New York Times

– Ecco il lavoro di Potti ritirato dal New England Journal of Medicine

– Guarda come Nature Medicine ha invece dichiarato “retracted” un altro lavoro di Potti


Un’ultima storia. Qualcosa doveva pur fare, il Dottor Han, per continuare a sperare nei finanziamenti federali finalizzati allo sviluppo di un vaccino per l’AIDS. Però, l’idea di aggiungere proteine umane al sangue del coniglio per dimostrare una risposta da parte dell’animale di laboratorio può sembrare un po’ estrema. “Non crediate”, sembrano dire Adam Marcus e Ivan Oransky raccontando la storia sul New York Times: “il motivo per cui adesso siete informati di come sono andate le cose e non state invece leggendo del successo della terapia è che il Dottor Han è stato scoperto”. Marcus e Oransky sono particolarmente competenti di frodi e malpractice nella ricerca e nella comunicazione scientifica: il blog da loro fondato – Retraction Watch – è talmente aggiornato e interessante che sono finiti a fare gli opinionisti su uno dei quotidiani più autorevoli del mondo. La cosa inusuale della storia di Dong-Pyou Han, sostengono, è nel fatto che è stato obbligato a dimettersi dalla sua posizione accademica. Qualche altro caso memorabile va ricordato, come quello dell’anestesista Scott S. Reuben della prestigiosa Tufts University, che – per aver falsificato i dati di una serie di 21 studi enfatizzando i benefici dei farmaci antidolorifici Vioxx (Merck) e Bextra (Pfizer) – ha passato sei mesi in prigione.
Ma la gran parte dei ricercatori che barano continua imperterrita nel proprio lavoro anche quando i loro comportamenti fraudolenti vengono alla luce. Alla peggio (o … alla meglio) c’è chi approda alla corte di un’industria farmaceutica. Nel caso di Han, l’istituzione di appartenenza – la Iowa University – ha accettato di restituire al Governo 500 mila dollari quale rimborso di anni di stipendio: uniti al milione e 400 mila euro di finanziamento cancellato dai National Institutes of Health fanno una cifretta discreta.

Per approfondire

– Leggi l’editoriale sul New York Times su Dong-Pyou Han

– Leggi gli articoli di Scientific American e del Wall Street Journal sull’affaire Reuben


Il conflitto di interessi

Gli interessi economici che influenzano le decisioni dei ricercatori e dei clinici sono talmente radicati nel sistema sanitario che immaginare di eliminarli sembra impossibile. Abitano la sanità da quando il mercato ha fatto il suo ingresso nell’assistenza sanitaria; agire è ancora possibile, però. “Una volta che vediamo che i mercati ed il commercio cambiano il carattere dei beni che toccano, dobbiamo chiederci dov’è il loro posto”, scrive Michael J. Sandel nel libro Quello che i soldi non possono comprare (Milano: Feltrinelli 2013). “Temendo il dissenso, esitiamo a portare le nostre convinzioni morali e spirituali sulla pubblica piazza. Ma arretrare di fronte a questi interrogativi non li lascia irrisolti. Comporta semplicemente che i mercati li risolveranno al posto nostro”. Interessi di parte, in contrasto con quelli che porterebbero naturalmente a tutelare la salute dei cittadini, condizionano negativamente molti progetti di ricerca: per esempio, promuovendo la duplicazione di studi che hanno già dato risultati, vuoi positivi, vuoi negativi. Così, si torna a valutare principi attivi che già si sono dimostrati efficaci o inefficaci, senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già si sappia e sprecando tempo e risorse economiche, col solo obiettivo di fornire ulteriore supporto alla promozione commerciale di alcuni prodotti (Evans, Thornton & Chalmers 2011). Allo tesso tempo, è spesso utilizzato lo stesso set di risultati per amplificare la portata di singoli studi: la cosiddetta “salami pubblication” è utile sia ad arricchire i dossier sottoposti alle agenzie regolatorie, sia ad amplificare artificialmente l’attività di ricerca di clinici per fini accademici o di ricezione di finanziamenti (Bailar & CBE 1990).

Per approfondire

– Chi è Michael J. Sandel? Leggi la scheda di Wikipedia

– Guarda l’intervista video a Marco Bobbio sul conflitto di interessi


Il reporting incompleto

Sono soppressi (o nascosti) non pochi dati tra quelli raccolti durante uno studio. E’ una condotta scorretta che può avere diversi livelli di gravità: dal cosiddetto cherrypicking (la scelta delle ciliegie sull’albero) alla soppressione di dati riguardanti gravi tossicità e eventi avversi riscontrati nel corso di un trial. Nel primo caso i ricercatori selezionano in maniera opportunistica i dati che meglio possono contribuire a supportare le proprie tesi. Nel secondo caso, la frode può comportare rilevanti conseguenze di sanità pubblica: è un problema di particolare attualità anche per il clamore recentemente suscitato dai numerosi casi di nocività e di reazioni avverse riscontrati negli studi su farmaci antivirali, antidiabetici e antidepressivi e non inclusi nei dossier presentati alle agenzie regolatorie Food and Drug Administration (Stati Uniti) e European Medicines Agency (EMA) (Doshi, Jefferson & Del Mar, 2012; Goldacre 2012, Healy 2012).
Tutto ciò danneggia dunque la pratica clinica (promuovendo l’uso di medicinali inutili o di prestazioni diagnostiche superflue o dannose), altera le gerarchie di merito all’interno della comunità scientifica (un singolo studio vale tanto quante sono le pubblicazioni artificiosamente prodotte con lo stesso set di risultati) e sottrae risorse economiche al servizio sanitario e al sistema della ricerca scientifica.


Condizionamento dei contenuti di uno studio (spin)

Il termine spin è mutuato dal baseball dove indica l’effetto che il lanciatore imprime alla palla per rendere più difficile il lavoro al battitore. Immaginate che la palla sia il vero risultato di uno studio e che l’insieme delle rotazioni che ne alterano la traiettoria sia, per l’appunto, lo spin. E’ importante sapere che quasi sempre si tratta di un insieme di condizionamenti e non di una singola, isolata distorsione: una serie di fattori messi in atto prima, durante e dopo la conclusione di una ricerca, quindi anche al momento della pubblicazione dei risultati o della loro divulgazione.

Al momento del disegno di un progetto di ricerca, lo spin può essere determinato per esempio:

– dalla scelta opportunistica del disegno di studio che dà maggiori probabilità di ottenere i risultati desiderati;
– dalla scelta del confronto con il quale valutare l’intervento oggetto di studio (tipicamente, un farmaco attivo ma utilizzato ad un dosaggio sub-terapeutico per determinare una minore efficacia o, al contrario, sovradosato per far registrare un maggior numero di effetti indesiderati;
– dalla scelta di endpoint surrogati: per esempio, nel caso di un farmaco per la prevenzione dell’osteoporosi una misura di esito “vera” sarà la riduzione delle fratture e non l’aumento della densità ossea; discutendo l’indicazione per la nefroprotezione di farmaci antipertensivi si dovrà valutare la capacità di ridurre il ricorso alla terapia dialitica piuttosto che la riduzione del tasso di escrezione di albumina;
– dalla scelta di riportare i risultati positivi a scapito di quelli negativi: anche a costo di non rispettare quanto previsto nel protocollo di studio, se le reali conclusioni della ricerca sono poco convincenti per la rivista alla quale si intendeva destinarle, vengono enfatizzati gli aspetti più attraenti capaci di attrarre l’attenzione dei direttori editoriali o di eventuali sponsor.

Per approfondire

– Leggi la scheda sugli endpoint surrogati del Bollettino di Informazione sui Farmaci.
– Guarda la videointervista a Paolo Bruzzi sulle alterazioni del disegno degli studi clinici per orientarne i risultati.


Sembrano persone e avvenimenti distanti dalla nostra realtà, ma conoscere queste storie mostra che gran parte dei comportamenti gravemente scorretti è messa in atto da persone almeno in apparenza “normali”, che potrebbero tranquillamente essere nostri colleghi di reparto o collaboratori dell’istituto al quale apparteniamo. Le storie descritte hanno sollecitato l’attenzione di quotidiani di grande diffusione e hanno coinvolto riviste di eccezionale prestigio, ma l’attività di ogni giorno – sia nell’assistenza sanitaria sia nella ricerca – è costellata di insidie che spesso non vengono percepite come tali, anche perché il confine tra correttezza e illegalità può essere assai sfumato.


Cosa fare in concreto in questo ambito?

E’ un lavoro tutto da costruire ma, come si diceva all’inizio, una sola cosa è certa: il compito del responsabile della legalità dovrebbe essere più simile a un servizio che ad un’attività di controllo. Ad esempio, la persona che si occupa di tutelare l’integrità di una azienda sanitaria dovrebbe lavorare a stretto contatto con il comitato etico per contribuire alla vigilanza dell’attività di ricerca. Allo stesso modo, dovrebbe rendersi disponibile nei confronti delle unità attive nella ricerca per aiutarle a produrre pubblicazioni plausibili, spendibili, di qualità, non ridondanti. E’ molto importante, infatti, essere consapevoli che in casi come quelli prima descritti la responsabilità non è del singolo ricercatore o clinico: all’estero è ormai diffusa la preoccupazione all’interno degli enti che svolgono ricerca sperimentale che plagio, frodi, falsificazioni colpiscono duramente l’immagine di un’istituzione causando gravissimi danni anche economici, dal momento che penalizzano finanziamenti futuri. Le istituzioni dovrebbero dunque essere le prime a vigilare sull’operato di chi fa ricerca e di chi diffonde informazioni scientifiche.

Secondo: l’illegalità prospera nell’abbondanza di informazioni. Tanto più aumenta l’output informativo, tanto più ci saranno informazioni problemi. Esistono attualmente oltre 28 mila riviste scientifiche, che continuano ad aumentare non tanto perché si ha bisogno di una tale abbondanza di letteratura quanto perché chi fa ricerca ha sempre più bisogno di scrivere. E’ questo che determina molti dei problemi della comunicazione scientifica. Perciò, occorrerebbe negoziare con le direzioni generali degli istituti di ricerca – per le quali la pubblicazione di articoli accademici è un punto irrinunciabile – la definizione di un punto di equilibrio fra la necessità di visibilità del proprio istituto e le aspettative di medici-lettori e della popolazione in generale di poter disporre di un’offerta di informazione esente da condizionamenti, non ridondante e utile ad una migliore assistenza sanitaria.

Per pianificare una agenda della ricerca sostenibile, è fondamentale creare reti: niente può competere con un network di persone che collaborano. E i responsabili dell’anticorruzione e della legalità non potranno non mettere in collegamento chi, all’interno delle aziende, ha a cuore la costruzione di saperi condivisi, partecipati e basati sulle evidenze.

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