Luigi Ciotti - 5.11.2014 - L’etica e la legalità nelle professioni
L’etica e la legalità nelle professioni
Don Luigi Ciotti
Credo profondamente in questo percorso, che è nato grazie a Nerina Dirindin e a tutti gli amici che lo stanno portando avanti.
Parto da una bella notizia di ieri, 4 novembre: finalmente nella sanità sono stati confiscati per corruzione beni per 20 milioni di euro ad Anna Iannuzzi e al marito Andrea Cappelli. Erano già noti per lo scandalo nella sanità della Regione Lazio e ora siamo alla sentenza di terzo grado per associazione a delinquere, falso materiale corruzione e frode, con 40 milioni di euro già confiscati. Quindi finalmente in Italia si arriva alle prime confische legate alla corruzione. Finora questo non era possibile e ancora oggi in gran parte non lo è. Questi sono i primi passaggi che dimostrano che bisogna riprendere il tema della confisca anche ai corrotti. Nel 2007 questo aspetto fu inserito nella Legge Finanziaria, ma non si riuscì mai a confiscare un bene ad un corrotto perché è sempre difficile dimostrare la corruzione. Questo è un fatto importante che segna un momento storico nel nostro paese.
Il secondo elemento che mi sembra importante mettere in evidenza è il coraggio della verità. Voi mi insegnate che la verità va cercata: no al silenzio, no alla menzogna, no alle manipolazioni che hanno accompagnato tante vicende di questi anni. E voi mi insegnate che i cercatori di verità hanno la responsabilità della giustizia e del bene. Noi dobbiamo essere tutti cercatori di verità, perché la ricerca della verità prima della nostra intelligenza impegna la nostra coscienza. Non dobbiamo temere di dirci le verità, anche scomode che fanno parte del nostro percorso e del nostro impegno.
E l’altro elemento che metto come cappello è che l’Italia ha bisogno di una nuova riforma che è quella delle nostre coscienze. Abbiamo permesso che tutto questo avvenisse nel nostro paese: delle leggi assurde, leggi ad personam, leggi che hanno calpestato la dignità di tante persone. Allora ci deve un risveglio delle coscienze e la prima riforma è quella delle nostre coscienze.
Un altro piccolo elemento di cappello è che oggi è in atto una guerra silenziosa, non fatta con le armi, che non riguarda solo l’Italia: è una guerra economica. L’economia uccide ha detto Papa Francesco e qualcuno dice che sono le solite esagerazioni. No, perché questa guerra economica silenziosa compie un furto di lavoro, di giustizia, di speranza delle persone. La spesa militare nel mondo è pari a 3 milioni di dollari al minuto e poi non ci sono i soldi per la lotta alla povertà, per cercare le condizioni di giustizia.
Dico subito che negli ultimi anni sono aumentati i codici etici. Tutti in Italia fanno codici etici e bisogna sottolineare il valore di tutto questo- Non dimenticandoci però che già alla fine dell’800 ad esempio in Sicilia c’erano i codici etici per espellere chi non rispettava alcune regole. E quindi c’era una società che in momenti diversi si è data delle regole, con linguaggi, modalità diverse e contesti diversi. Quindi questa attenzione per i codici non è solo di adesso. E questi documenti parlano di legalità e di etica anche nelle professioni. Benvengano, perché nessuno vuole sminuirne il loro valore, però a volte mi preoccupa il loro proliferare, perché se si svuotano di significato diventando solo delle belle etichette.
Quando mi chiamano perché viene firmato un codice dico sempre una cosa che voglio condividere in premessa con voi. Non l’etica della professione, ma etica come professione. L’etica deve essere la base della nostra professione, delle nostre scelte, delle nostre realtà, dei nostri contesti.
Non è un accessorio che aggiungi li, non è un elemento tra gli altri ma è la base. Etica che oggi è sulla bocca di tutti, come sulla bocca di tutti è diventata la legalità. Peccato che in questi 20 anni in cui ci siamo riempiti la bocca di legalità, è cresciuta l’illegalità. Perché abbiamo permesso delle leggi che l’hanno favorita. Perché molti hanno scelto una legalità malleabile e sostenibile. Se mi conviene rispetto le regole, se non mi conviene non le rispetto. Però la legalità è la parola magica del nostro paese. Tanto è vero che nelle scuole si fa educazione alla legalità di cui mi auguro non se ne parli più. Io per anni ho sostenuto l’educazione alla legalità e ora chiedo ci sia un’altra cinghia di trasmissione dei progetti nelle scuole perché prima della legalità ci sta la responsabilità.
La legalità è sulla bocca di tutti e ce l’hanno rubata. Come ci hanno rubato l’antimafia. Perché essere contro la mafia è un problema di coscienza, non è una carta di identità che qualcuno tira fuori secondo le circostanze. Gli stessi mafiosi sono antimafia. A Villabate a Palermo a organizzare tutte le manifestazioni contro le mafie era un capo clan. Questo succedeva ieri e succede oggi. Ci sono parole che sono state rubate. E allora anche le definizioni delle parole diventano importanti. C’è un vocabolario della solidarietà, del sociale che deve essere riscritto e anche i linguaggi devono essere ridefiniti.
Vediamo la parola legalità tra diritti e responsabilità. La legalità costituisce una condizione fondamentale perché vi siano libertà e giustizia. La responsabilità precede i diritti e ne è il presupposto e fondamento. Non può esistere esercizio di responsabilità senza esercizio di diritti e di doveri. In certe situazioni accampare i diritti è in netta contrapposizione con l’assunzione di responsabilità. Non basta esigere i diritti, se non ti assumi la responsabilità. E’ innanzitutto nella responsabilità, non nel diritto, il fondamento del rispetto della legalità. Se nella società esiste la giusta cultura della responsabilità, il rispetto della legalità ne è la conseguenza più evidente. Il fatto è che da noi questo non è assolutamente vero.
Chi è meno uguale, ha più bisogno di vedere riconosciuti i propri diritti. Lo vedo stando sulla strada con il Gruppo Abele che il prossimo anno compie 50 anni della propria storia, di un noi che nasce con la tossicodipendenza e poi con la lotta all’aids. E 20 anni fa nasce Libera che è un coordinamento di 1.600 associazioni. Parto dalla strada, dalle accoglienze, dalla storia delle persone, dalle loro contraddizioni, le speranze, le fatiche per dire che legalità è una parola abusata da tutti quelli che vorrebbero applicarla a tutti fuorché a se stessi. La legalità è uno strumento, non è un obiettivo e neanche un valore. L’obiettivo resta la giustizia. L’uso corretto della legalità implica la compresenza di due elementi: la responsabilità individuale e la giustizia sociale. La responsabilità individuale è la premessa della legalità che ci riporta ai nostri doveri di consapevolezza e di partecipazione. La giustizia sociale è l’orizzonte della legalità ed è un riferimento che non bisogna mai perdere di vista.
Senza la responsabilità individuale e la giustizia sociale la legalità si svuota di ogni contenuto etico e umano diventa un concetto astratto, una pura facciata dietro la quale si possono nascondere ambiguità, pericoli e sopraffazioni. Allora siamo chiamati singolarmente a fare la nostra parte. Questo è un problema di democrazia perché la democrazia ci offre due grandi doni: la giustizia sociale e la dignità umana. Ma la sfida della democrazia si chiama responsabilità e questa non starà mai in piedi se non c’è la terza gamba che è la responsabilità.
Dico sempre ai ragazzi, chiediamo allo Stato e alle istituzioni, ma prima di chiedere guardiamo dentro di noi se ci stiamo assumendo la nostra parte di responsabilità, a cominciare dalle piccole cose. Di questa legalità senza etica, la nostra storia recente ci ha offerto numerosi esempi. Leggi lontane dall’interesse pubblico, leggi ad personam, norme che vedono o che erodono l’uguaglianza. Perché non c’è legalità senza uguaglianza, nel nome della legalità abbiamo avuto in Italia leggi contro i migranti, leggi che hanno calpestato la Costituzione e la Carta dei Diritti Umani. E ci sono voluti due anni perché la Corte Costituzionale e la Corte Europea dicessero che quel meccanismo legislativo era contro tutto questo. Senza uguaglianza non c’è società e non c’è giustizia. E la legalità si riduce e si allontana da quei valori. Quindi la legalità è una tensione, non è una obbedienza acritica e passiva, è un impegno, una responsabilità, un esserci.
C’è un passaggio che voglio fare sull’educazione e sulla responsabilità. Educarci alla responsabilità significa cercare di essere autentici. E bisogna applicare questo principio nell’ambito dell’educazione dei diritti, delle professioni, dell’economia e in ogni ambito delle attività umane. C’è un richiamo che chiama in causa, l’etica, all’integrità della nostra vita, alla responsabilità alle nostre grandi e piccole scelte quotidiane.
Allora una parola sull’etica che mi sembra fondamentale nel nostro percorso. Cos’è questa benedetta etica che oggi è sulla bocca di tutti? E’ il sentimento di corresponsabilità. L’etica è innegabile tra l’individuo, l’io e la società, il noi. In sostanza l’etica è la ricerca di ciò che ci rende più autentici e più umani. L’etica non significa solo scrivere codici e enunciare regole per quanto giuste e condivisibili. Non basta. I codici non servono. L’etica deve essere scritta nelle nostre coscienze, deve potersi leggere nei nostri comportamenti. Io Luigi Ciotti. Voi nella vostra professione, nella grande responsabilità che avete. Come primo punto ho detto questo bisogno della ricerca della verità, insieme alla capacità di guardarci dentro. Noi i codici li possiamo firmare, ma poi bisogna tradurle in concreto.
La prima dimensione è quella personale. L’etica non può mai essere un accessorio, una variabile soggetta alle convenienze e ai calcoli di bilancio. Non è un obiettivo tra gli altri. E’ deve fare da sfondo ad ogni progetto, investimento, strategia. E la base, di ciò che ci rende più umani più autentici. L’etica è il sentimento della corresponsabilità fra individuo e società, fra l’io e il noi. L’etica quindi anche nelle imprese, nello sforzo di rendere più umana la vita di chi ci lavora. E allora capite perché etica come professione.
Se vado per un istante al 1984 a Milano c’era un torinese che si chiamava Carlo Maria Martini ed era vescovo di Milano. Tutti si aspettano che i preti in chiesa parlino della parola di dio, lui ne è un grande conoscitore, ed è una parola a volte scomoda, difficile, provocante, ma sempre carica di giustizia, di stimoli. Tangentopoli avverrà nel febbraio 1992 e lui parla nel 1984. Nel maggio 1992 ci sarà la strage di Capaci e qualche mese dopo via D’Amelio. Se guardate tutti i percorsi, tutti gli atti processuali trovate i fili che legano le tangenti, la corruzione, le storie di ieri e quelle di oggi. Oggi le mafie sono diventate più forti, nel momento della grande crisi economica loro hanno una grande quantità di denaro liquido che investono, riciclano, attraverso società, imprese, fanno da banca alle imprese in difficoltà.
Martini parte dalla parola di dio ma a un certo punto parla della peste. Dice così “…Vi è infine la corruzione bianca, quella che si insinua nella gestione sconsiderata del denaro altrui, nelle scorrettezze amministrative di ogni genere, nella facilità di corruzione politica, dei favoritismi o di clientele, di distribuzione ingiusta di privilegi, di evasione di grandi doveri civici.” E’ la fotografia di oggi. Sono passati tanti anni e siamo ancora qui a porci a fianco di questi segnali di positività. Non ci sareste voi. Ma bisogna anche creare quei meccanismi legislativi per completare la legge sulla corruzione, inserendo una serie di reati che qualcuno non vuole.
E noi abbiamo la responsabilità di esserci, di spingere, di fare la nostra parte. Perché i dati sono molto preoccupanti. Oggi abbiamo 10 milioni di persone che vivono nella povertà relativa e 6 milioni nella povertà assoluta: chi ha perso il lavoro, chi lo cerca, chi è in cassa integrazione, chi vive le forme di precariato, e c’è un disagio nel mondo lavorativo che abbraccia 8 milioni di persone. E c’è un altro dato preoccupante. L’Italia ha 6 milioni di analfabeti con un analfabetismo di ritorno e l’Europa continua a richiamarci perché siamo agli ultimi posti per la dispersione scolastica e la cultura. E voi capite che un segmento chiama in gioco un altro. Perché c’è meno cultura, meno consapevolezza, meno strumenti e nel nostro paese c’è stata una grande caduta del senso di moralità della legalità, della coscienza dei comportamenti in questi ultimi anni.
Ma detto questo voi mi insegnate che chi ricopre ruoli di funzione pubblica non è tenuto all’onestà in quanto soggetto etico che risponde solo alla propria coscienza, ma anche al ruolo pubblico che ricopre. Sei quindi tenuto all’onestà non solo per la dimensione individuale, ma anche perché sei un rappresentante del sistema sociale e sei chiamato quindi a costruire il bene comune. Hai due istanze etiche a cui devi rispondere: una individuale e una sociale. Una grande responsabilità.
Vi riporto un dato sui ragazzi e sui disoccupati che ci aiuta a leggere il clima di disperazione che c’è intorno a noi. Il 61% dei disoccupati è disposto ad accettare un posto di lavoro in una attività in cui la criminalità organizzata ha investito riciclando del denaro. E uno su 10 è disposto a compiere i reati perché non sa come tirare avanti. La criminalità può contare quindi sulla disponibilità di 330.000 persone che non avrebbero problemi a commettere azioni illegali per tirare avanti.
L’altro dato relativo ai ragazzi, con un sondaggio in 94 scuole fatto nei primi mesi del 2014. Qui l’esito che ne viene fuori è drammatico e si vede l’abbassamento della guardia sui comportamenti illegali. L’11% ritiene che lo Stato sia più forte della criminalità, mentre il 53 % dei ragazzi ritiene che la criminalità sia più forte. E solo il 23% ritiene che quest’ultima si possa sconfiggere. I cattivi esempi di cui siamo bombardati, offuscano anche le cose positive che si fanno.
Ma è importante anche avere il polso della situazione generale che ci circonda, della povertà culturale, dell’abbandono scolastico, dobbiamo tenerne conto. Persone che hanno meno strumenti, anche per far valere la propria dignità e i propri diritti. Non è possibile che un paese come il nostro che siede al tavolo delle grandi potenze non affronti questo grande nodo. Dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a vedere il bene che c’è. Ma questa caduta del senso della moralità e della legalità esiste e su questo incide anche la disperazione economica. Siamo anche qui per sostenere la politica che faccia le cose bene. Sappiamo che ci sono uomini e donne che ci credono e si impegnano, che sono onesti. Poi però ci sono i furbi di turno, e la dimostrazione è la legge sulla corruzione, che è incompleta, perché se passano alcune norme sulla corruzione, loro fanno cadere il governo.
Siamo qui per fare la nostra parte. Se vi capita passate qui nella chiesa della Certosa. Troverete all’altare un vecchio tavolo di una cucina con un marmo molto spesso. Quel tavolo per noi ha una grande valore e significato. Quando scoppiò il problema dell’AIDS aprimmo subito una comunità sulla collina torinese dove abbiamo accolto tanti ragazzi e ragazze. Allora non c’erano i farmaci. In quei momenti non aspetti le convenzioni e quando qualcuno bussa alla porta ti inventi di tutto per aiutarlo. E su quel tavolo hanno giocato, hanno mangiato, hanno lottato, hanno sperato, hanno pianto, tanti ragazzi e ragazze che non ci sono più. Quel tavolo della cucina abbiamo pensato, al di là dei riferimenti diversi di ognuno di noi, che fosse il più bell’altare, perché i crocefissi sono stati loro, con le loro miserie, le loro fatiche, le loro speranze. Negli ospedali abbiamo incontrato in quegli anni come accade oggi la generosità, la meraviglia, bravi medici, infermieri eccezionali, persone che ci mettono testa e cuore.
Un ultima cosa, su Papa Francesco. Con lui c’è una profonda sintonia. Quando lui era in Argentina, li scoppiò una vicenda drammatica di corruzione, che portò alla morte di una ragazza di 16 anni. Questa vicenda lo ha segnato fisicamente e se avete osservato non c’è settimana in cui lui non parli della corruzione. Questo tema per lui è viscerale, perché ha visto la morte, la sofferenza, ha visto come la corruzione inquini la politica e l’economia. Ci impoverisce tutti. Lui scriverà un libro (ndr. Guarire dalla Corruzione) in cui chiamerà la corruzione “puzza e putrefazione”. Anche lui è un gesuita come Martini che la chiama “peste”.
Quando è stato eletto Papa è stato pubblicato questo libro che ha scritto sulla corruzione e che mi hanno chiesto di presentare quando è stato pubblicato. Anche se parla di un contesto lontano, lui fa una fotografia perfetta del corrotto e del corruttore.
Papa Francesco parla dei caratteri della corruzione. Il primo è il simulare. Il corruttore è colui che vuole salvare le apparenze, coltiva squisitezza, buone maniere per nascondere le sue abitudini. Il corruttore non ha il coraggio per mostrarsi per quello che è. La maschera per lui è essenziale. Ha sottoposto il suo vizio ad un corso accelerato di buona educazione. È un truffatore in guanti bianchi, uno che ti frega con il sorriso.
Il secondo carattere è il paragonare. Il corrotto ha necessità di autogiustificarsi. E quindi usa paragonare il suo male a mali peggiori. Obiettando che il suo male è diffuso. Sono le cose che tocchiamo con mano. Ecco perché abbiamo parlato della legalità malleabile e sostenibile.
Il terzo carattere della corruzione è quando diventa costume. Parla di spudoratezza, la corruzione porta a perdere il pudore. Quando all’inizio sono partito da quelli a cui hanno confiscato 40 milioni di euro, 11 grandi proprietà, questi hanno fatto affari nel Lazio, e hanno perso il pudore, per quel denaro, quel rubare, quel truffare. Ma ci dice anche che il peccato e la tentazione sono contagiosi. La corruzione fa proseliti, devi coinvolgere altri.
Francesco dice che non bisogna confondere il peccato con la corruzione, il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata. Semplicemente per il fatto che alla radice di qualunque atteggiamento corrotto c’ è una stanchezza della trascendenza. Il peccato è un errore, una caduta, mentre la corruzione è un indurre in errore. C’è nella corruzione sempre una forma di seduzione, devi coinvolgere qualcun altro. La corruzione è più grave perché è un peccato sociale. Un male che si esercita non solo contro gli altri, ma attraverso gli altri. Il corruttore ha sempre bisogno di un corrotto.
Chiudo con il mio più grande augurio che posso farvi, con le cose belle che stiamo portando avanti, con questo percorso che stiamo facendo, con l’assunzione immensa di un compito difficile che richiede la nostra integrità, il coraggio della verità e il nostro grande impegno.